Sapreste resistere a questi marshmallow?
Se siete tra coloro che vanno matti per questi spumosi e colorati dolcetti… quanti secondi impieghereste a prendere il primo e mangiarlo in un sol boccone?
Ma cosa c’entra questo con l’autocontrollo?
Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70 presso l’Università di Stanford, in California, uno psicologo austriaco, tale Walter Mischel, dette avvio ad una serie di curiosi esperimenti che passarono alla storia come “test del marshmallow”. Per carità, si sarebbe potuto chiamare anche “test della pizza” o “del gelato”, ma l’impianto della sua ricerca non sarebbe cambiato: alcuni bambini in età prescolare, dai 4 ai 6 anni, venivano messi di fronte ad una scelta molto difficile: mangiare immediatamente il marshmallow che veniva presentato loro o aspettare quindici lunghissimi, eterni, infiniti minuti per poterne mangiare non uno, ma addirittura due.
Ciò che Mischel si proponeva di osservare era la capacità dei bambini di rinunciare ad un premio immediato (assaporare subito l’invitantissimo marshmallow) per gustarsi il premio, raddoppiato, quindici minuti dopo. Alla base di questo esperimento c’era la convinzione che, per godere di quella che chiamò “gratificazione differita”, fosse necessaria una forte dose di forza di volontà, in altre parole un grande autocontrollo o self-control, che dir si voglia.
Questo aspetto del comportamento umano viene spesso vissuto come una caratteristica intrinseca della propria personalità: c’è chi ne ha da vendere e chi, invece, ne è sprovvisto. Quello che non si tiene in considerazione, però, è che la situazione può cambiare, così anche il nostro atteggiamento in quella circostanza particolare. Un esempio? Chi non è un amante dei marshmallow mostrerà in questa occasione un elevato grado di autocontrollo, mentre se si trovasse di fronte ad una bella pizza… forse la sua capacità di resistere verrebbe messa a dura prova.
E’ un po’ quello che accade nella vita… in alcune occasioni ci scopriamo a comportarci in modo completamente diverso da come pensavamo che avremmo fatto sulla base della nostra idea di autocontrollo.
Se, più in generale, definissimo l’autocontrollo come quella capacità di guardare a se stessi e ai propri bisogni valutando, allo stesso tempo, quelle che sono le caratteristiche della situazione che ci troviamo a vivere, appare più chiaro come questo aspetto della nostra esperienza possa avere forti legami con alcuni stati d’animo ed emozioni che viviamo quotidianamente.
In presenza di un vissuto di ansia, per esempio, la percezione può essere di non avere affatto né controllo sulla situazione né autocontrollo: tutto appare confuso, compresi quelli che sono i nostri desideri e bisogni.
Quando si ha a che fare con la rabbia, poi, l’autocontrollo pare essere una delle variabili alle quali spesso si fa ricorso per spiegare il nostro comportamento. Percepire se stessi in un momento di rabbia può essere assai difficile, in alcuni casi davvero impossibile.
Ma l’autocontrollo si può imparare? E, una volta imparato, si può esercitare?
La risposta è affermativa, con le dovute precauzioni.
Iniziamo col dire che, in molti casi, un eccesso di autocontrollo potrebbe far vivere alla persona un senso di blocco, di incapacità di movimento, nonché un senso di frustrazione laddove non ci si sentisse più capaci di esercitarlo.
In altri casi, tuttavia, l’autocontrollo è una variabile fondamentale: in psicologia dello sport gli atleti vengono aiutati e sostenuti nell’impresa di sviluppare un sempre maggiore autocontrollo per perfezionare l’esecuzione del gesto tecnico e per migliorare la propria performance sportiva.
Allo stesso modo, se guardiamo all’autocontrollo in senso più ampio, come consapevolezza di sé e del proprio modo di stare al mondo, in un percorso di psicoterapia si può imparare a conoscere e ri-conoscere quelle situazioni della vita che ci mettono a dura prova, trovando il proprio equilibrio tra slancio creativo e self-control.